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Townstories

Stand:


Il Mio Quartiere

Ulm-Wiblingen

di Brigitte Nguyen-Duong


Da più di trenta anni abito ad Ulm nella frazione di Wiblingen, che è diventata col passar del tempo la mia cara "Heimat"(1) alla quale mi sono affezionata. In questo posto ho passato con la mia famiglia metà della mia vita. E' un luogo con una storia molto recente. Noi stessi siamo i pionieri che hanno abitato gli edifici del nuovo quartiere residenziale che conta oggi più di 15.000 abitanti recentemente insediatisi nei dintorni del vecchio villaggio rurale che fino al 1970 contava solamente 3000 persone circa.

Per urbanizzare il nuovo terreno edificabile, si dovette abbattere un'intera foresta di abeti, da cui deriva il nome di "Tannenplatz" (Posto degli abeti) datole sul piano regolatore di Ulm. Alcuni abeti rimangono ancora e delimitano il territorio comunale di Ulm verso Sud con una riposante area dove fare sport nella foresta e sentieri dove passeggiare, fino a Binsenweiher ( lo stagno dei giunchi), dove si trova anche il mio circolo del tennis e dove in molte giornate estive mi sento in pieno benessere come se stessi in un paradisiaco luogo di vacanza.

Tra gli abitanti messi insieme da poco tempo quasi per un gioco del destino, si sono sviluppate velocemente relazioni sociali e amicizia, favorite dagli incontri dei nostri figli con altri bimbi e i loro genitori nelle scuole e negli asili o nei circoli sportivi oppure nelle associazioni culturali, poiché in questi moderni "casermoni" si sono insediate soprattutto famiglie giovani .

Gli abitanti di Neu-Wiblingen provenivano da tutte le parti. Qui si trovavano famiglie della regione sveva, che qui si erano potute permettere la loro prima proprietà e molte famiglie forestiere e straniere, che avevano acquistato soprattutto grandi appartamenti nei giganteschi edifici dormitori. La multicultura era, per così dire, annunziata. La vita sociale si sviluppò di conseguenza. Qualche famiglia si isolava, è vero, nelle sue tradizioni culturali, ma molte erano curiose delle altre, così ben presto nell'associazione ginnica di Wiblingen organizzammo feste sveve-italiane-turche-eritree-russe oppure manifestazioni internazionali miste.

Nel frattempo anche le infrastrutture si sono sviluppate progressivamente. L'Amministrazione ha costruito un centro di incontro comunale e una casa della gioventù. L'associazione ginnica ha trasferito i suoi impianti sportivi a Tannenplatz. Furono costruite chiese. E intorno alla centrale piazza del mercato sono sorti un centro commerciale con supermercati e diversi negozi e servizi, come anche parecchi studi medici.

Sulla strada verso l' antica frazione di Wiblingen si delinea nel margine nord la sagoma del centro originale, l'imponente tetto dell' Abbazia di Wiblingen, che fu costruita dai monaci benedettini quasi mille anni fa. Oggi questosplendido edificio barocco è adibito a svariati usi di utilità civile. La chiesa è comunque restata il punto di riferimento della vita cattolica di Wibligen e solo da alcuni anni è stata elevata al rango di basilica.

L'ala destra del convento è stata trasformata in una bellissima casa di riposo. Nell'ala sinistra si possono imparare le professioni paramediche, e alcune stanze barocche sono a disposizione degli studenti della terza età di ZAWIW.

Il cortile si presenta nella vita di tutti i giorni ampio e vuoto e lastricato tra le storiche mura del convento e gli edifici un tempo religiosi, restaurati in color rosa. Attraversandolo penso immancabilmente agli splendidi festival musicali all'aria aperta che in estate, qui, rappresentano il culmine della vita culturale degli abitanti di Wiblingen. Lo staccato barocco di un famoso cembalista o le giubilanti voci del coro dell' Alexsnderfest di Händel, per esempio, vibrano nei miei ricordi e mi rendono gioiosa nell'attesa del prossimo evento musicale che contribuirà ulteriormente a far divenire il mio quartiere un luogo amabile e in questo caso anche per un pubblico giunto da lontano.

(1) Heimat vuol dire in tedesco insieme casa, patria, luogo di elezione dei sentimenti.

Traduzione di Renata Caratelli