_
 
[ EuCoNet ]   [ ZAWiW ]   [ SoLiLL ]   [ LiLL ]    [ Gemeinsamlernen ]I
_ _ _
  Dreieck nach obenTownStories  
_ _ _
  Dreieck nach oben--- Testi --- Logo ZAWiW
_ _
  _Macomer
_ _ _
_
_ < pagina 4 di 4
_
_ up - home
_ _
_ _
_ _
_ _ Sentirsi bene
_ _
_ _ La Mia città
_ _
_ _ Fiumi
_ _
_ _ Piazze e vie
_ _
_ _ Costruzioni e chiese
_ _
_ _ Incontri
_ _
_ Storia
_ _
_ _ Tradizioni
_ _
_ _ Testi da altri
_ _
_ _ Stampa
_ _
_ _
_ _ _ _ _ _

Townstories

Stand:


Andare per pietre. I siti archeologici

Lina Manai


Era una mattina nebbiosa il primo marzo del 1980, il giorno in cui arrivai a Macomer per prestare servizio nell’Ufficio postale. L’avevo scelta perché era il centro più grande vicino al mio paese, Mara (da cui dista solo trenta chilometri), ma soprattutto perché, posta al centro della Sardegna, con vie di accesso e di fuga in tutte le direzioni, mi dava l’idea di una libertà possibile. Conta poco quanto questa libertà fosse praticabile, ma sicuramente poter agevolmente prendere il treno o avviarmi in automobile sulla vicina strada Statale 131, che attraversa l’isola da Nord a Sud, in quel momento fu determinante per la mia scelta.

Partii presto per essere al lavoro alle otto. Avevo dentro l’ansia che ogni cambiamento porta con sé. Salendo verso l’altopiano di Campeda, la nebbia diventava sempre più fitta. Vedevo la valle sottostante la strada che costeggia il monte, bellissima, con tante collinette morbide che a loro volta disegnavano altre piccole valli, che la nebbia univa tra loro.
La strada era deserta, il paesaggio arcaico, commovente nella sua immobilità, nel silenzio quasi irreale. Sarebbe stato meglio percorrere quei luoghi a cavallo. La velocità e il rumore del motore producevano un contrasto stridente.

Arrivata in pianura, intravidi la sagoma di un nuraghe. Lo splendido torrione era come un faro che mi indicava l’approdo, dopo aver navigato nella nebbia. Quel nuraghe è stato ed è ancora per me la porta d’ingresso a Macomer. Da lì cominciai le mie visite ai siti archeologici della zona.
Andare per pietre è una mia vecchia passione. Le pietre parlano. Le pietre assemblate nei dolmens, nelle tombe dei giganti, nei nuraghi, sono l’espressione della nostra cultura e a me danno un intimo senso di appartenenza.

Come ho già detto, vengo da Mara, dove nel neolitico si è sviluppata la civiltà di Bonu Ighinu.. Quando ero ragazza ci furono lunghe e fruttuose campagne di scavi e di ricerca nei siti archeologici di Filiestru e di Sa Ucca ’e su Tintirriolu. I reperti frutto di quegli scavi sono ora al Museo Sanna di Sassari.
Cominciò in quel periodo la curiosità per le fondamenta della nostra civiltà.

La primavera e l’autunno sono stagioni propizie per andare in campagna e visitare pozzi sacri, tombe, domus de janas e soprattutto nuraghi. Intorno a Macomer ce ne sono a decine; molti sono crollati, ma leggibili; altri, seppure segnati dai millenni, raccontano ancora la forza e la sapienza della genti che li hanno costruiti.

I miei pellegrinaggi alla ricerca delle radici mi portarono a quella che ho chiamato “la porta di Macomer”, il nuraghe che avevo intravisto nella nebbia, Succoronis. E’ una bellissima torre, ben conservata, coi filari di pietre allineati l’uno sull’altro come appena messi. Si può accedere all’interno e salire in cima, da dove si domina un immenso paesaggio, fino alla catena del Marghine.

Vicinissimo alla città c’è monte Manai. A metà costa si erge imponente la torre centrale del nuraghe S. Barbara, alta circa 15 metri, che comprende due stanze sovrapposte; della terza stanza è rimasto solo il basamento. Intorno c’erano altre quattro torri, ora in rovina, che davano al complesso un forma quadrangolare. Quale funzione aveva il nuraghe per i nuragici? Come hanno fatto a costruirli? Quali conoscenze avevano, oltre alla straordinaria capacità di costruirli? Il mistero mi stupisce e mi affascina.
Dal nuraghe S. Barbara lo sguardo spazia sulle colline intorno e sulla piana, dove si vedono altri nuraghi, per lo più a una sola torre. Alcune torri sono alte e imponenti, altre più basse e modeste.

Altro interessante sito nuragico è Tamuli, a pochi chilometri dalla città. Ci sono più nuraghi, disposti in modo da essere visibili l’uno dall’altro. Ai piedi di uno di essi ci sono i resti di un villaggio. A poche decine di metri, tre tombe di giganti: in una è ben visibile il corridoio, la soglia d’ingresso della camera funeraria e l’esedra antistante. Intorno ci sono conci e pietre lavorate che testimoniano la grandiosità del monumento.
A sinistra della tomba ci sono sei pietre appuntite conficcate verticalmente nel suolo, i betili (perdas fittas o perdas marmuradas), tre delle quali, mammellate, rappresentano l’elemento femminile; le altre tre rappresentano l’elemento maschile. Erano simbolo di fecondità e fertlità.

Tamuli è un posto magico. A seconda della stagione cambia la luce e cambia la suggestione. Ogni volta si sente un’energia diversa.