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Townstories

Stand:


In tutti i cortili si allevavano galline, soprattutto per le uova: erano un alimento nutriente e a buon mercato. La gallina destinata alla cova aveva il privilegio di essere ospitata al caldo, in cucina; era ben nutrita e coccolata. Quando le uova si schiudevano era una delizia vedere i pulcini tondi e gialli uscire faticosamente dal guscio. Galli e galline mangiavano un pastone fatto con la crusca; raramente si dava loro il granturco che, mischiato con farina, si utilizzava per fare il pane.

La guerra era finita da poco e il paese era allo stremo, mancava di tutto: si sentivano le conseguenze dell’embargo che la Società delle Nazioni decretarono all’Italia per l’invasione dell’Etiopia. Gli alleati iniziarono a distribuire i primi aiuti alimentari: farina lattea, gallette e formaggio fuso.

Tanti anziani giravano con una gavetta di alluminio, elemosinando un po’ di minestra. I benestanti nascondevano toppe e rammendi su maglie, camicie e pantaloni: rettangolari sulle ginocchia, rotonde sul sedere. Raramente erano dello stesso colore e dello stesso tipo di tessuto.

Giacche e cappotti venivano rivoltati, quelli dei fratelli maggiori passavano ai più piccoli; quando erano troppo logori si riducevano in stracci, da usare ancora all’infinito. Le scarpe si risuolavano più volte, cucite e ricucite per sopportare sassi e polvere, neve e fango, per andare dappertutto: al lavoro, in chiesa, alla spesa, dal medico, dai parenti; si facevano centinaia e centinaia di passi al giorno.

Era il tempo glorioso dei ciabattini, gli artigiani con la clientela più numerosa. Nelle giornate di sole, sistemavano il loro panchetto sulla strada. Odoravano di tannino e di lucido. Le scarpe appena ricucite e spalmate con una dose generosa di lucido, che nascondeva il lavoro della lesina, sembravano nuove; il ciabattino le teneva in bella vista sul banchetto da lavoro affinché i passanti potessero ammirare la sua maestria. Si rattoppava tutto, anche gli utensili da cucina.

Artigiani, improvvisati spesso, giravano in tutte le strade per guadagnare poche lire. Lo stagnaro aveva un piccolo fornello a carbone: in un pentolino scioglieva lo stagno, quando si scioglieva lo faceva cadere in una pentola o nel paiolo bucati ed erano nuovamente pronti per l’uso.
L’ombrellaio cambiava le stecche rotte degli ombrelli e li rammendava.
Per aggiustare i piatti, il piattaro aveva con sé un bulino; praticava dei piccoli fori nei piatti e rimetteva a posto le due parti con un filo di ferro.
L’impagliatore delle sedie arrivava con grandi fasci di asfodelo; di solito le sedie da impagliare erano tante e si fermava a Macomer per diversi giorni. Dormiva all’addiaccio, dietro una catapecchia, usando l’asfodelo come materasso.