Le festività del Natale avevano a Roma - fino al 1940/1948 - un carattere molto religioso ed esplodevano, se così si può dire, in cucina, poiché non mancavano, nei giorni precedenti, obblighi di digiuno.
L'uso, ancora oggi rispettato, è di una cena, anzi cenone, il 24, a base di cibi magri. Nella generalità il menù è questo:
spaghetti al tonno e pomodoro o ai frutti di mare, anguilla marinata con sottaceti vari e tanta tanta verdura fritta (in pastella, broccoli, carciofi, patate a fettine, mele a fettine, ricotta). Non mancavano una volta filetti di baccalà, oggi sostituiti, spesso, da un pesce arrosto o al cartoccio. Di contorno solo broccoli bolliti e conditi con olio, limone o aceto.
Poi frutta fresca e molta secca, noci, nocciole, fichi, datteri.
I dolci erano fatti in casa. Molto usato ancora è il Pangiallo a base di miele, poca farina di mais, tanta frutta secca tritata, cacao in polvere, il tutto impastato e cotto al forno. E il Panpepato, fatto come sopra ma con l'aggiunta di pepe macinato. Pochi i torroni.
A mezzanotte si andava al rito.
Altra serata importante quella del 31, dove piuttosto che un cenone, era d'obbligo mangiare lenticchie che si ritengono auspicio di molto denaro, con zampone o salsiccia o cotechino.
Per i bambini il clou delle festività era il 6 gennaio, quando la notte precedente, la Befana - una vecchina con un grande sacco che viaggia a cavallo di una scopa - passava a portare giocattoli entrando dalla cappa del camino. E qui si evidenziavano i ceti sociali: per gli abbienti giocattoli vari e poi calzine piene di dolcetti, per gli altri pochi dolcetti, qualche frutto secco , un trenino di latta o una trombetta o un tamburo, una bambola di pezza per le femminucce. Le calzine personali, una per ogni bambino, venivano appese la sera precedente nella cucina davanti al focolare. Oggi la Befana non è più importante, sostituita da Babbo Natale, ma le calzine con dolcetti vengono ancora distribuite.
Wanda Gozzi