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Il Biondo Tevere

di Anna Maria Mussoni

E’ così che veniva chiamato il dio fiume nelle elegie dell’antica Roma, un dio al quale si doveva rispetto e amore e così è rimasto, in un certo senso, nell’immaginario dei romani. Con il tempo, però, essi ne hanno perduto il contatto diretto sebbene il fiume sia rimasto la cintura che divide la riva sinistra , ossia il centro storico, dalla destra ossia quella che una volta era chiamata la periferia. Una cintura non sempre comoda per via delle alluvioni che si riversavano periodicamente sulla città con tributi di morti e di devastazioni. La “Barcaccia” di Piazza di Spagna si dice fosse un monumento dedicato al ricordo di una barca scaraventata lì dalla furia del fiume durante una delle tante alluvioni. Infatti, attraverso i secoli, ogni tanto veniva presentato qualche progetto atto a modificare la grande ansa del fiume che va dal Ponte Principe Amedeo di Savoia-Aosta a Ponte Umberto I. Tra i personaggi più famosi che proposero di modificarne il corso ci fu Giulio Cesare e lo propose in parlamento, in un primo momento, anche Garibaldi, salvo poi a ripiegare sul progetto dei muraglioni, visto il costo e gli interessi che avrebbero rovinosamente coinvolto i possessori dei terreni da espropriare per il nuovo corso del fiume. Mio nonno raccontava a mio padre che prima della costruzione dei muraglioni, a parte il quartiere di Trastevere che c’è sempre stato , sin dall’antichità, sulla riva destra, al di là di Castel S. Angelo, si estendevano vigne e frutteti nonchè numerose osterie. Coloro che volevano recarsi sulla riva destra dall’argine di via Ripetta venivano traghettati da una riva all’altra da una barca agganciata ad una fune che veniva tirata a riva con un argano. Tra le osterie famose, nella zona che veniva chiamata i Prati di Castello, ce n’era una denominata “Er Puzzone” non si sa bene perchè, forse dal cattivo odore di bruciato che emanavano i suoi polli alla brace che venivano più che cucinati regolarmente bruciati. Il “Puzzone , però, sapeva farsi perdonare perchè, a detta di mio nonno, serviva il miglior vino “est,est, est” di Montefiascone dove possedeva una vigna propria.
Quando ero bambina e abitavamo ancora al Corso, mio padre mi portava a passeggiare lungo la banchina del fiume, dove si potevano ammirare i giovani del prestigioso Circolo dei Canottieri alla voga delle canoe e poi più giù verso il Ponte Cavour i più modesti vogatori di altre chiatte tra cui il famoso “Er Ciriola” che sembravano avere una più stretta comunione con il fiume.
Negli anni ‘60 , poi,il Ponte Cavour fu teatro dei fasti di cronaca con il famoso Mister OK che si gettava dal ponte nelle fredde acque del fiume il primo dell’anno e che veniva regolarmente fotografato mentre faceva OK con la mano. Negli anni a venire alcuni spericolati tentarono di imitarlo, ma con minor fortuna, senza assurgere ai fasti della cronaca. Mi sembra di ricordare che in seguito fu proibita l’esibizione a causa dell’inquinamento del fiume. Più giù sulla via Ostiense , lungo la banchina del fiume, una meta delle cosidette gite “fuor di porta”era l’osteria di Capoccetta, famoso anche lui per il vino ma anche per come cucinava l’abbacchio.
Se il contatto diretto con il fiume si è perduto e credo non solo a causa dei muraglioni ma anche a causa della vita frenetica dei giorni nostri, tuttavia il fiume è rimasto nell’immaginario delle canzoni popolari. Canzoni tragiche, canzoni allegre. tutte canzoni d’amore in cui il fiume è protagonista. Chissà se riuscirà ancora ad essere almeno coprotagonista delle nostre vite? Sul fiume, reso ancora una volta navigabile, a luglio sarà possibile imbarcarsi su un battello. Quello che ancora non è ben definito è se sarà principalmente usato come una specie di Bateau Mouche parigino per turisti o se sarà giornalmente usato come un servizio tipo bus che ci permetterà di raggiungere prima la nostra meta evitando il traffico di terra. Se si avvererà questa ultima ipotesi dubito che per il passeggero distratto e frettoloso, nella corsa per andare al lavoro o a svolgere i suoi affari, il fiume acquisterà lo stesso posto importante dei “bei tempi andati” quando quotidianamente i giovani frequentavano gli argini del fiume per giocare, per pescare e prendere il sole, per fare all’amore all’ombra dei canneti. Nel fiume ci si bagnava (non si sapeva nulla dell’inquinamento) e chi non sapeva nuotare veniva guardato con compassione come oggi si guarderebbe un’analfabeta.