“Va bene, se stai buono ti racconterò la storia del gigante Caco che dal Palatino scendeva al Tevere per saccheggiare le navi. Però dopo andiamo su all’ospedale e ti farai fare la puntura senza piangere”.
Ogni volta che portavo mio figlio dal dottore andavamo nell’ospedale di quartiere, il “Fatebenefratelli” che si trova proprio sull’Isola Tiberina. Per Yonis non è mai stata una festa andare dal dottore, ma l’Isola Tiberina per un bambino è un luogo incantato. “Domani si va all’Isola”, lo preparavo io. “Poi in Ghetto mi compri la pizza e il pane dolce con l’uvetta” rispondeva lui. “Va bene”. L’indomani di buonora da Piazza Venezia lungo il Teatro di Marcello sotto i bei platani del lungotevere fino all’ospedale a prendere il numero di prenotazione della visita. “Ce ne sono settanta prima di noi. Ci vorranno due ore”. “Mamma, scendiamo a vedere la nave!”.
Noi scendevamo la scaletta e ci trovavamo sulla banchina di pietra bianca che circonda l’isola.. “Ecco la prua di marmo della nave. Mamma, parlami del re, non di quello adottato come me, ma…” ed io “ho capito: non ti piace Romolo, ma sediamoci. A Roma, tanto tempo fa c’era un re cattivo, Tarquinio detto il Superbo. I Romani lo hanno cacciato via, hanno tagliato tutto il grano dei suoi campi e, per disprezzo, lo hanno gettato nel Tevere. La corrente ha portato tutto questo grano nel mezzo del fiume, la sabbia lo ha ricoperto, sono cresciuti alberi e piante e così piano piano è nata quest’isola. Poi un giorno a Roma c’era un’epidemia e i Romani mandarono una nave in Grecia ad interrogare il dio della medicina Esculapio…”. “Mi ricordo, mamma, quando la nave è arrivata qua un serpente còlubro è guizzato via dalla nave e si è nascosto nell’isola.
Così i Romani con il marmo hanno costruito tutto intorno all’isola le pareti di una nave e tutti i malati venivano qua a farsi curare dal dio della medicina. Tutti i farmacisti hanno ancora il distintivo con il còlubro…”. “Sono proprio stata fortunata ad avere un figlio intelligente come te, che si ricorda tutto…”. “Uh, e tu mamma, ti ricordi quel còlubro verde lungo due metri che prendeva il sole in campagna a Ronciglione…tu ti sei messa a strillare, io ho preso il rastrello e gli sono corso dietro, ma lui è fuggito nel casotto e è scappato dalla cappa del caminetto. Poi papà ha detto che non bisogna ammazzare i còlubri perché sono serpenti buoni. Non sono mica come i cobra, vero?”. “No, no e nemmeno come i serpenti dei setti passi. A Mogadiscio una volta camminavo di bel bello e hop! ne ho visto uno in mezzo alla strada, allora ho fatto un salto e sono scappata via perché se quello ti morde fai appena in tempo a fare sette passi e poi caschi giù morto stecchito”. “Ed io, dove ero io?”. “Tu stavi in braccio a me, così il serpente avrebbe pizzicato pure te…”. “Ah, mamma, guarda: l’acqua del Tevere è piena di schiuma”. “E già, il biondo Tevere in realtà è giallo di sporco. Quando ero bambina, la domenica babbo mi portava a mangiare il cocomero sui barconi attraccati alle rive del fiume, la gente era in costume da bagno e nuotava perché l’acqua era pulita…”. “Certo, nel Tevere non ci sono mica i coccodrilli come nell’Uebi Scebeli, mamma raccontami di quell’alunna tua…”. “Alima? Era andata a lavare la biancheria al fiume e un coccodrillo le ha addentato un braccio e così non è più venuta a scuola. Ma sai, qui a Roma non c’è da stare tanto tranquilli: non ci sono i coccodrilli, ma se per caso bevi un po’ dell’acqua del Tevere muori di leptospirosi, perché il fiume è pieno di topi e nutrie che sono tutti malati…”. “Mamma che puzza d’acqua marcia…”. “Dirò a papà di portarti con lui sui campi da tennis a lungotevere Flaminio, lì le rive sono verdi e piene di fiori e il fiume odora di buono, come l’Uebi Scebeli. Ma torniamo in ospedale che deve essere arrivato il nostro turno. E tante grazie a Esculapio se oggi sull’isola Tiberina c’è questo bell’ospedale che funziona proprio bene!”.