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Townstories

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La mia città personale

di Maria Teresa Norero


…sì, ma quale? Amavo molto la mia città, Milano, la villetta che in Viale Romagna dividevo coi cuginetti, la mia coetanea Cecilia. Era bello giocare e sentirsi parte d'una piccola comunità.

ROMA è stata la mia città per molti anni, ma non per mia scelta. Troppo grande e caotica! Mi sentivo sradicata dai luoghi natali e non sopportavo il clima: niente nebbia a sfumare le cose e mai la neve; nessun cambiamento di stagione. I sempreverdi non perdevano le foglie, il cielo era un'inalterabile macchia blu. Un giorno me ne lamentai in un tema e subito nevicò. Lesse quel mio testo tutta la scuola.

Abitavo all'EUR, quartiere residenziale che nella mente di Mussolini doveva esser sede di un'Esposizione Universale Romana sul modello di quella parigina, e base di espansione della città verso il mare. Poi, con la guerra, non se ne fece nulla. L'EUR al mio arrivo -seconda metà degli anni Cinquanta- presentava interessanti monumenti, di marmo o travertino, adorni di colonne, classicheggianti. Ad imitazione di quelli di Roma antica. I fasti del regime.

Come il Palazzo della Civiltà del Lavoro, popolarmente chiamato "Colosseo Quadrato". Con una grande scritta, "Un popolo di santi, di navigatori ed eroi, di poeti, trasmigratori…": e giù una sfilza di cose che eravamo noi italiani, e poi statue: noi ragazzini ci ridevamo su. La piazza con l'obelisco (Piazza Marconi); da Corsetti saremmo ben presto andati a mangiare la domenica, quando non ci portavano al ristorante del Luna Park.

Verso la grande chiesa somigliante a San Pietro (San Pietro e Paolo, appunto) abitavano alcune compagne di scuola. Le rare volte che nevicava, andavamo a sciare sulla lunghissima dolce scalinata. Divertente. Strano per Roma. Percorrevamo sci in spalla Viale Europa (le macchine tutte impantanate nella neve), e giù da quella pendenza.

Lì vicino i Gesuiti spostarono l'Istituto Massimo, che prima era dalle parti della stazione, e ci andavano i ragazzini di buona famiglia, e nobili e ricconi. Un compagno di mio fratello, che aveva una catena di salumerie, era guardato come il parente povero. Mio fratello s'inventava una casa di venti stanze.

Abitavamo non lontano dal Palazzo dei Congressi, costruzione audacissima che imitava il Pantheon, con volta a crociera che poggiava solo sugli angoli. Poco più in giù, tutta una distesa d'eucalipti, ed è parco ancor oggi. Quelle piante assorbivano l'acqua in luoghi tradizionalmente insalubri e paludosi. Così l'EUR era tutto verde, e ideale per noi bambini.

Ancora più giù, sulla Laurentina ma dalla parte di Roma, c'era la Basilica delle Tre Fontane, dove a San Paolo gli avevan spiccato via il capo. Ed eran zampillate tre fontanelle. Era bello per la tenuta agricola, in cui ci si perdeva. E c'erano i frati al lavoro e se gli parlavi non ti rispondevano, perché sono Trappisti. In Viale dell'Arte, proprio davanti a casa nostra, c'è ancor oggi l'Archivio di Stato, e passavamo il tempo libero a pattinare sulle bianche terrazze, coi figli dei custodi.

Le medie e il ginnasio (primi anni Sessanta) li ho fatti alle Suore di Nevers, e anche lì c'erano ragazzine bene. C'insegnavano le preghiere in francese, e c'eran piscina e campi da tennis. A ricreazione, si giocava a pallone tutta la classe contro due bambine che dribblavano da Dio e non ci facevano toccar palla. Io avevo un calzettone su e uno giù, come Sivori. Una delle due era figlia di Diego Fabbri.

Il liceo l'ho fatto al Vivona, e lungo la strada che facevo a piedi con Paola (veniva fermata da tutti i ragazzi perché era molto bella) c'eran gli scavi vuoti dei palazzi delle Poste e Telecomunicazioni. All'incrocio piovevan giù dai pini marittimi, di primavera, le processionarie. Dopo le lezioni ci si fermava in Viale America per un pezzetto di pizza e si decideva se andare a sciare al Terminillo, la domenica, o ci s'invitava alle feste da ballo. Con certi abitini da sera tutti lustrini.

Nei primi tempi che ero all'EUR, c'era già la metropolitana, ma le case eran poche e si andava a Roma a far la spesa. Mio padre contrattava i prezzi coi negozianti, e tornavamo carichi come somari. Lui si divertiva. Noi no. Più tardi son comparsi Palazzo dello Sport e Velodromo; laghetto e piscina delle Rose, insomma le strutture sportive progettate da Piacentini, Nervi ed altri per le Olimpiadi del '60. La professoressa ci raccontava che durante le gare parlava in latino cogli stranieri.

Poi grandi ville immerse nel verde hanno affiancato gli edifici in vetro pensati per ospitare ministeri e aziende tipo IMI, ENI (alto grattacielo in riva al lago) ed Alitalia. Anche la mia amica Lidia aveva un villone, uno dei più vecchi edifici dell'EUR, dirimpetto al lago, con piscina e parco pieno di rose e fragoline, un albero incorporato nella casa, balconi come fiancate di nave. Una gran bell'architettura, ma la famiglia era ingombrante e repressiva, come quella di molte di noi. Genitori bacchettoni o invadenti. In parte erano i tempi. Ora casa di Lidia è un palazzo di vetro ristrutturato per uffici, a fianco della Criminalpol.

L'EUR era un quartiere residenziale ma periferico, così sono andata avanti negli anni senza conoscere nessun vero romano, perché erano rari e vivevano in centro. Ne ho sposato uno di Trastevere, e nei suoi sogni c'è tutta una topografia della città, personaggi e parole del tempo che fu. La madre prepara antiche ricette "giudìe", cioè la vera cucina romana, e dalla nonna ha appreso aneddoti e modi di dire. Visitare la città con lui è sempre una scoperta.

Negli anni Settanta diverse vicende m'hanno condotta nella Maremma Toscana e a Varese, in Lombardia. Al ritorno avrei trovato tantissime case sorte intorno al nucleo centrale dell'EUR, e quartieri estesissimi per i ceti medio e popolare, palazzoni altissimi e tutto un immenso brulicare di edifici, un gran correre ed intersecarsi di autobus e macchine. Era il momento di trasferirsi a Trastevere. E poi a Velletri, in campagna. Perché ora, Roma, me la godo da turista. All'EUR ci torno coi miei alunni. Visitiamo i musei della Civiltà Romana, dell'Alto Medioevo e delle Tradizioni Popolari. Dopo, loro giocano nei giardini, proprio come facevamo noi.
Maria Teresa Norero