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Roma, La mia città

di Michele Penza


La nostra città.

Vivo a Roma e, soprattutto, vivo Roma. Non si tratta di un dato di cui intenda vantarmi ma di un semplice dato di fatto che tuttavia condiziona oggettivamente la mia esistenza. Sono totalmente privo di sentimenti sciovinisti o di presunzioni stupide e ritengo che se i Romani hanno avuto qualche merito in passato io non c'entro assolutamente niente con loro, come del resto non c'entrano milioni di miei concittadini che a Roma ci sono venuti in tempi recenti, loro o i genitori prima di loro. I romani intesi quale entità etnicamente definibile non esistono, o sono in numero talmente irrisorio da non incidere assolutamente nella realtà. Siamo quasi tutti uomini e donne, di varia provenienza, che un giorno qualsiasi della loro storia familiare, non importa quando, sono divenuti cittadini di Roma.

In ogni modo sia, per il solo fatto di vivere in questa città, di respirare il suo clima, di fruire della sua vista, io mi considero un privilegiato. Non è un sentimento razionale o giustificabile con argomenti concreti, è assolutamente soggettivo ma non per questo mi appare meno reale.

Sono vecchio e ormai la mia attività lavorativa è cessata da alcuni anni. Nel corso della mia vita mi è capitato spesso di desiderare un'esistenza meno stressante, da trascorrere in un luogo dove le distanze fossero più a misura d'uomo, dove, ad esempio, non fosse necessario come lo è stato per me per la durata di quasi sei anni trascorrere quattro ore al giorno sui mezzi di trasporto per andare e venire dal lavoro, dove il recarsi a fare la spesa al mercato o al supermercato non fosse una lotta corpo a corpo, dove non fossero frequenti cattivi incontri notturni, o borseggi sui mezzi pubblici.

Ricordo come un incubo le sofferenze e le fatiche che ho dovuto sostenere nei lontani anni di guerra, quando la città era isolata ed affamata, per procurare e trasportare a casa mia, su fino al settimo piano, cibo, acqua potabile, legna o carbone, andandoli a cercare per chilometri e chilometri, ovunque fosse possibile reperirli.

Questi sono i prezzi che ho pagato al destino che mi ha fatto nascere a Roma, ma devo avere l'onestà di riconoscere oggi che, potendo scegliere, non cercherei di vivere in un luogo diverso.

Roma mi ha ripagato largamente, a suo modo, e non so dove riuscirei a sentirmi meglio con lo spirito, pur seguitando ad affrontare quei disagi che ho detto e che sono il retaggio di ogni grande città. Io ho vissuto sempre modestamente, con mia moglie e i miei quattro figli, come milioni di altri uomini che campano di onesto lavoro alla giornata, e tuttavia sempre mi sono sentito ricco d'una cosa che è impagabile, che mi ha concesso di vivere in un lusso che mi ha sontuosamente circondato, e questa cosa è la bellezza di Roma, una bellezza che non finisce mai perché non è data da un solo elemento, l'architettura, o il panorama, o la natura circostante, o un clima che ti consente, alla vigilia di Natale, di sederti all'aperto al tavolino di un caffè, ma di queste e tante altre cose fuse insieme il cui risultato è un luogo dell'anima e non solo un ambiente materiale.

Un paio d'anni fa uno dei miei figli si recò a visitare Atene, che per le ragioni che tutti sanno non è certo una meta di scarso interesse. Lo indirizzai dal direttore del museo dell'Acropoli che è un mio compagno di gioventù che qui ha fatto l'università. Costui lo accompagnò e gli mostrò ampiamente ogni cosa degna d'interesse, e davvero lì non ne mancano. Alla fine della visita lo congedò dicendo: " Ecco, adesso devi solo andare alla stazione e partire, qui hai finito. Tutto quello che c'è da vedere ad Atene lo hai visto qui, questa non è Roma. Vai magari a vedere Olimpia, o a fare il bagno in qualche isola". Vi ho raccontato questo episodio per spiegare meglio quello che voglio dire: Roma non consiste in un punto solo ma è presente e diffusa in tutta la sua estensione ed anche uscendo dalla città vi accompagna per un bel tratto di strada la vista delle sue vestigia, dei suoi monumenti, dei resti delle ville patrizie.

Sono cose che non occorre cercare, ti vengono loro a trovare e ti riempiono gli occhi con la loro presenza che a poco a poco ti diviene familiare, ti accompagna, ti prende e viene il giorno in cui ti accorgi che non ne puoi più fare a meno.

Vado spesso a fare la spesa in un drugstore che si chiama Museum ed è aperto 24 ore su 24. E' collocato sulla Via Portuense, all'interno di un'area archeologica che espone resti di una necropoli di età imperiale. Solo a Roma capita di scegliere i broccoli o la mozzarella fresca in vista di una cripta con urne funerarie senza che questo tolga l'appetito a nessuno perché qui la convivenza con l'eternità è un fatto scontato, un dato quotidiano. A molti accade che questa convivenza alla lunga faccia da anestetico e ne annulli la consapevolezza, a me accade il contrario. Ne ho una consapevolezza talmente acuta che vivo in un perenne stato di esaltazione del senso estetico: io Roma la sniffo come una droga ogni volta che esco di casa.

Ho sviluppato questa grande sensibilità per i luoghi dove lo spirito ha lasciato il suo segno indelebile e certo non lo ritrovo solo qui. L' ho avvertito, per esempio, anche in Germania, una notte di cinquanta anni fa, quando percorrendo da solo coi miei pensieri il grande ponte sul Reno a Mainz, andavo con la mente ai soldati di Cesare che lottavano con la corrente del fiume per costruire il primo ponte di legno, oppure ancora cinque anni fa, sul battello che sfilava lentamente davanti ai resti anneriti dal fuoco del ponte di Remagen, quando un gruppo di ragazzi e ragazze che cantavano e bevevano birra sul ponte guardavano stupiti quel vecchio turista straniero che si alzava in piedi, si scopriva il capo e restava a lungo a fissare, finché scomparve dalla vista, un pilone bruciato che a loro non diceva nulla perché forse nemmeno sapevano che lì è passata la storia del mondo.

L' ho avvertito ancora, sommamente, la prima volta che ho salito i gradini che danno accesso al duomo di Colonia. Quello è un luogo dove l'orgoglio dell'uomo ha avuto un sussulto, uno scatto verso il divino. Ha preso una montagna di pietra, vi ha impresso il timbro del suo genio, vi ha profuso la potenza del suo pensiero e l' ha lanciata in alto, per toccare Iddio. Non so dire se l'abbia raggiunto ma credo che il messaggio che gli ha voluto mandare sia questo: "Se tu sei il mio creatore sappi che sono degno di te!". Dite pure che sono un idiota, ma lo confesso umilmente: quando sono entrato nel Duomo di Colonia mi si sono empiti gli occhi di lacrime.

Poi, quando ne sono uscito, ho trovato subito pronto il treno e l'incanto è finito. Ecco, è qui la differenza per me. Quello di Roma è un incanto, una suggestione che per me non finisce mai. Credete a me, i romani di oggi non c'entrano per nulla con tutto questo. Essi sono esattamente come voi e come i cittadini di tutte le altre metropoli, sempre di corsa per non giungere in ritardo al lavoro o a prendere i bimbi a scuola, col pensiero al mutuo, all'affitto di casa, ai conti da pagare. E' Roma che è diversa! Ci sono venuti in tanti a vederla, veniteci anche voi, non ve ne pentirete, e ricordate che qui non siete degli stranieri perché Roma è anche vostra, almeno quanto è mio il Duomo di Colonia..