Io vivo a Roma fin dalla mia nascita e precisamente nei pressi di Piazza Venezia, vivo cioè nel Centro Storico di Roma e trovo difficile parlare del mio quartiere perché non so nemmeno se questa zona possa definirsi un quartiere. In verità oggi il centro storico di Roma è più un grande centro commerciale e turistico che un quartiere dove si possa vivere.
Quando ero bambina le stradine del centro pullulavano di famiglie numerose e io contavo decine di piccoli amici. Oggi ci sono solo alberghi uffici, banche, caffè, ristoranti e soprattutto negozi di abbigliamento e jeanserie. E poi automobili e automobili e quasi nessun bambino o residente. Impossibile trovare un elettricista o un falegname.
Oggi, per andare al piccolo mercato che sopravvive alle pendici del Quirinale, devo aprirmi una strada fra una moltitudine di turiste giapponesi che sciamano tutte insieme nelle vicinanze di Piazza Fontana di Trevi. Ma i monumenti sono ogni giorno più belli: molti di essi sono stati restaurati per il Giubileo e illuminati. E quale incomparabile spettacolo è per me verso sera tornare a casa camminando lungo il Corso da Piazza del Popolo a Piazza Venezia! L’oro del tramonto incendia le facciate dei palazzi mentre sullo sfondo i bianchi marmi del Vittoriano risplendono. E che importa se non troverò più sulla mia strada la bottega del carbonaio o se all’angolo della mia via non c’è più la fontanella di ghisa dell’Acqua Marcia, la squisita acqua che gli antichi portarono a Roma più di due mila anni fa… oggi abbiamo in casa tutto e i ricordi delle privazioni della guerra durante la mia infanzia non hanno più senso, anzi sembrano incredibili.
All’angolo tra Piazza Venezia e la stradina dove vivo sono ormai parcheggiate le macchine. Addio vecchio lustrascarpe Sor Gigetto che avevi la tua pedana di legno proprio là! Quando la domenica mattina mio padre portava i suoi cinque figli a lucidare le scarpe era come se partecipassi a un rito. Appena mi issavano sull’alta seggiola di legno ero affascinata dalla danza dolce come una carezza delle spazzole sulle mie scarpe e finalmente i miei occhi miopi potevano ammirare da vicino il grosso naso rosso di Sor Gigetto che tradiva il suo debole per il buon vino…
Oggi a Roma non ci sono più lustrascarpe, ma ubriaconi sì! Nel mio quartiere moderni bar hanno sostituito le vecchie osterie, ma quando in estate le finestre della mia camera sono aperte per il gran caldo, oggi come allora, il mio sonno è disturbato talvolta dal canto degli ubriachi.
Ma nelle notti di primavera non si odono più i concerti dei gatti innamorati che durante la mia infanzia vivevano nella mia strada. Dove saranno finiti? Forse sono migrati nelle rovine di Piazza Argentina o nel Pantheon e ora sono le “gattare” che si prendono cura dei loro discendenti. Quando cala la sera vanno le signore gattare con le loro sporte piene di mangiare e all’improvviso centinaia di gatti escono dalle rovine e le signore cominciano a parlare con loro e a chiamarli per nome perché ogni gatto ha un nome e una storia di vita vissuta da raccontare. E un’ordinanza del Sindaco deve avere proibito l’attraversamento della città alle greggi in transumanza. E’ tanto che in autunno non sono più svegliata all’alba dall’abbaiare dei cani e dal suono dei campanacci delle pecore che invadevano la mia stradina nel loro cammino dalla Via Salaria attraverso il Colosseo e la Via Appia fino al mare.
E quando all’inizio dell’inverno i platani del lungotevere diventano rossi, oggi come quando ero bambina, profumano le strade del mio quartiere di caldarroste. Ma nessun contadino italiano viene più in città a fare il caldarrostaio; come altri mille umili mestieri solo gli extracomunitari lo fanno e ci siamo abituati ormai a vedere i loro visi esotici dappertutto. Di certo il futuro del mio quartiere dipenderà anche da loro.