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![]() El Pistor or FornaroStand:In seguito iniziò a pestare il grano secco in un mortaio; in epoca palafitticola venne in uso il leviga-toio, cioè una pietra levigata, larga e pesante, sulla quale il grano si schiacciava con un'altra pietra tenuta in pugno (macinello). Da questa lunga operazione risultava una farina di grossa grana che l'uomo impastava con acqua; quindi poneva le piccole forme ottenute tra due pietre roventi o sotto le braci. Un po' di pasta fermentate, perché casualmente dimenticata il giorno prima, aggiunta a pasta fresca, fece scoprire all'uomo il lievito mediante il quale rese tanto più appetibile il suo pane. Dal rudimen-tale mezzo sopra descritto di frantumare il grano, alle mole di pietra azionate dagli schiavi e final-mente al mulino con apparecchiatura meccanica, che libera l'uomo da un massacrante lavoro e offre una soffice, impalpabile farina, c'è di mezzo tutta la storia greco-romana. L'abilità raggiunta dai Romani nell'arte della panificazione andò man mano perdendosi durante le invasioni barbariche. Sembra che soltanto i conventi possedessero panetterie di una certa importan-za e che soltanto i signori nei loro castelli si facessero confezionare pane di frumento. Il cibo più comune in tutta l'Europa in quell'epoca fu costituito da polente di miglio: questo basso livello di a-limentazione è da considerare una conseguenza delle razzie e delle distruzioni operate dai barbari. Quando in seguito alla scoperta dell'America fu importato nel nostro Paese il mais, o granoturco, esso fu largamente coltivato e consumato nel Nord tanto che piemontesi, lombardi e veneti furono soprannominati polentoni; l'impiego del granoturco nei secoli successivi fece distinguere i ricchi dai poveri, perché furono questi che alla polenta dovettero ricorrere come cibo quotidiano. |