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How Bread is made...

Stand:


Memoria di panificazione in casa



Mani vergine raccoglievano al mattino la rugiada, formatasi nella notte di S. Giovanni, per fare il lievito per la panificazione. Questo quanto raccontava lo zio Ferruccio nelle fredde sere d’inverno, ai convenuti nella stalla per il solito filò. Il pane, allora si faceva in casa, aggiungendo all’impasto di farina ed acqua una parte di pasta, lievitata ed acida, prelevata e conservata dall’ultima panificazione, la sera prima del giorno fissato, per la cottura.
Il pastone così formato veniva avvolto con un telo e deposto sul fondo di una cesta e avvolto in una coperta e messa al caldo accanto al focolare o d’inverno in stalla. Chi usufruiva del forno del fornaio caricava sulla carriola la cesta con l’impasto che era aumentato di volume, il sacco della farina e la legna da ardere.
Dal fornaio si impastava la farina nell’impastatrice, si formavano dei rotoli grossi come un salame. Si tagliavano a pezzi i rotoli e dopo un’abile lavorazione sempre a mano, venivano accoppiati ottenendo la forma tradizionale del pane di campagna, le “ciòpe”. Si mettevano le ciòpe a lievitare su delle tavole poste lungo le pareti della stanza per qualche ora.
Nel frattempo il forno era stato riscaldato facendo bruciare la legna portata da casa, rametti secchi che non si potevano adoperare per altro scopo, le “fascine”. Una volta riscaldato, il forno veniva ripulito dalle ceneri e con un apposito attrezzo introduceva il pane. La bocca del forno veniva chiusa da una porta e si controllava la cottura attraverso uno spioncino. Dopo qualche tempo, a seconda della temperatura del forno, il pane era pronto per essere estratto dal forno.
Si pagava al proprietario del forno il dovuto e si tornava a casa con il pane dentro un sacco.
Per i bambini, con i ritagli di pasta, venivano foggiati dei pezzi di pane di varie forme. Molto apprezzata era la “colombeta”.
Ora il forno comune per cuocere il pane è scomparso, lo si può trovarte ancora in qualche casa di campagna che a Pasqua prepara infornate della “focaccia” dolce tradizionale, per consumo proprio.
Oggi, in alcune cucine, si ripropone il forno a legna che però viene usato per cucinare la “pizza”.

Paola Faggian, Giuseppe Furin